Skip to content

2019 Certosa e Museo di San Martino, Chiesa della Donne, Napoli

Materiali: 250 Kg. di riso, 20 Kg. di farina, fiori (Rosa – Dianthus – Hidrangea – Agapanthus – Phalaenopsis – Polyanthes tuberosa), essenze profumate

Dimensioni: m 9,5 x 9,5

my name is… il mio nome è…
Conosci l’altro e la sua realtà

A Napoli in un contesto mirabile ed evocativo, invitata dal Polo Museale della Campania, Maria Dompè sviluppa il secondo capitolo di una narrazione umana, tramite l’arte. Dopo l’esordio al Macro di Roma dove aveva dato voce a sette donne immigrate, alla Certosa di San Martino a Napoli affronta un altro aspetto del fenomeno epocale dell’immigrazione: la storia di tre famiglie strappate dalle loro radici, sia per ragioni belliche, sia per odio religioso. Un bagaglio di sofferenza che non trova adeguata tregua nell’attuale ospitalità italiana. Nella sensibilità della Dompè questo atteggiamento superficiale risulta incomprensibile, forte delle convinte tradizioni di accoglienza dello spirito mediterraneo. Da questo assunto la proposta d’impegno sociale, culturale e informativo, volto a compensare fuorvianti divulgazioni.
Per una prospettiva futura di cambiamento, una corretta informazione deve rivolgersi ai migliori interlocutori possibili: giovani studenti. In un momento storico dove l’alternanza generazionale è bloccata dalla difesa di personali privilegi, la Dompè controcorrente, coinvolge un cospicuo numero di nuove leve (scrittori, critici, attori, fotografi, video maker …). Con le seguenti parole l’artista motiva la sua preferenza programmatica.
“Affrontando il tema migratorio, avevo in mente un’informazione incontaminata, apolitica, coinvolgendo sopratutto l’autentica genuinità del seme umano, racchiusa nella giovinezza. Gli studenti se svincolati da pregiudizi, attuano naturali collegamenti empatici e, coinvolti quotidianamente, comprendono e sviluppano un’intima comunicazione, assecondando l’istintiva predisposizione verso l’altro. La loro energia è stata contagiosa, rivitalizzante, come fondamentale è stato l’apporto culturale. Un “viaggio” tutti insieme, incontro alla verità su realtà celate con un approccio recettivo, complice e incondizionato. Non mi limiterò più nel definirli giovani studenti, bensì indispensabili collaboratori e dotti esploratori dell’anima”.
L’opera artistica pensata per il luogo, con l’intento di affiancare ed enfatizzare il messaggio culturale e sociale, rievoca l’essenza di tradizioni comunitarie, mediterranee. Appare infatti come un emblematico merletto, una tessitura peculiare nella memoria femminile e alle donne Maria Dompè sembra rivolgersi per l’innata predisposizione alla comprensione e alla tolleranza (anche la scelta della location: la Chiesa delle Donne, non è casuale). Il disegno è costituito da materiali organici in grado di garantire un corretto riutilizzo, senza sprechi irrispettosi, perché un’opera è viva quando la propria materia costituente è viva! Questo è l’evidente manifesto dell’artista. L’attento studio cromatico è conciliante, l’effluvio di essenze floreali è coinvolgente, la lettura dei racconti (elaborati dagli studenti e tratti dall’interviste alle famiglie), commovente: tutto confluisce verso una poetica incisiva, finalizzata a favorire un “incontro”.
La vera integrazione nasce dalla condivisione dei valori sia religiosi che etici. Con questo convincimento è importante aprire i luoghi di culto rappresentativi delle singole religioni, a tutti i fedeli di ogni credo. Solo così potremmo comprendere il basilare principio del rispetto solidale, un concetto precursore per ogni giusto comportamento umano. La Chiesa delle Donne della Certosa di San Martino, con il suo intrinseco valore simbolico, il giorno dell’inaugurazione al pubblico, dopo molti anni di restauro, con l’evento di Maria Dompè ha aperto le porte alla conoscenza, al dialogo, con famiglie richiedenti asilo politico di diverse etnie e di religione mussulmana.
Un’esperienza fertile che apre la mente al confronto con il “nuovo” che irrompe e non può e non potrà essere dissimulato per molto tempo. Rappresenta infatti un ciclo evolutivo inarrestabile, da assecondare senza inutili impedimenti, cogliendo invece l’energia positiva che trascina con sé, in grado di rinnovarci tutti.
Togliendo ogni residuo di “polvere” dal cuore, così come insegna Maria Dompè.

La lettura dei testi durante l’evento, è stata di C. Bocchino, D. Rea, U. Salvato (Ass. Putéca Celidònia)
Pierre

Torna su